Soheir Mohamed, 13 anni, è morta una settimana fa in Egitto a causa della mutilazione dei genitali. Il medico che ha praticato l'intervento clandestinamente, Aslan Hammouda, è stato appena rimesso in libertà in attesa del processo. Lui si difende, sostenendo di aver agito senza negligenza su richiesta della famiglia della ragazzina: “L’intervento è andato bene e la bambina non ha perso sangue”, dice convinto. Intanto ha offerto dei soldi ai genitori perché non sporgessero denuncia.
La madre della vittima ha rifiutato i soldi ed è andata alla polizia, accusando il dottor Hammouda di aver ignorato le preoccupazioni della ragazza che gli aveva chiesto se l’influenza che aveva contratto avrebbe potuto causare complicazioni. “Ha risposto di no e le ha detto di presentarsi il giorno dopo, a digiuno”.
In Egitto si muore ancora di mutilazioni dei genitali femminili. I dati ufficiali sono agghiaccianti: oltre il 90 per cento delle donne di età compresa tra 15 e 49 anni le ha subite. Tre minorenni su quattro, una percentuale che lascia senza parole. E invece bisogna trovarle le parole e fare in modo che ad esse seguano i fatti.
La legge vieta dal 2008 le mutilazioni genitali, ma le famiglie come quelle di Soheir si rivolgono ai centri privati, dove, tra l'altro, ci sono lunghissime file. Una barbarie disumana per garantire la verginità delle donne anche a costo della loro stessa vita.
Gli organismi delle Nazioni Unite protestano, il mondo si scandalizza, intanto, Soheir non c’è più. A cosa sarà valso il suo sacrificio? Sarà sufficiente ad evitare che si formino ancora le code davanti ai centri dove, clandestinamente, si praticano queste atrocità? Le mutilazioni genitali femminili continuano in moltissimi paesi, non solo in Egitto.
Cosa si può fare che non è ancora stato fatto per fermare questo fenomeno ignobile?
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