Quella che vi racconto è una storia, ma non
è una storia come quelle che si raccontano ai bambini. E’ una storia vera. E’
una storia di soprusi, di ingiustizie, di rassegnazione e di abusi. E’ la
storia di alcune donne, ma diventa la storia di tutte le donne. Donne in gamba,
intelligenti, capaci, ma inchiodate al muro dall’ottusa ignoranza e
dall’arrogante violenza di datori di lavoro senza scrupoli. Questa storia non è
ambientata in un indefinito “c’era una volta”, né tanto meno nelle piantagioni
di cotone dell’America di Via col vento. Questa storia è qui e ora, in una
delle nostre civilissime ed evolute città industrializzate. E le protagoniste
sono donne emancipate, lavoratrici e madri, spesso laureate a pieni voti, sono
donne moderne, professioniste esemplari che danno un contributo significativo
alle aziende presso cui lavorano o lavoravano, perché molte di loro non
lavorano più. Sono state licenziate.
E’ la storia di Angela, persona solare,
dinamica, vera. E’ sposata con un uomo che ama molto, il loro è un matrimonio
basato sulla complicità e la comprensione. Si sono conosciuti durante una
vacanza, la storia è iniziata come cominciano molte relazioni, sulla scia del divertimento
e della leggerezza; tornati nelle rispettive città nessuno dei due avrebbe
immaginato che l’altra persona fosse diventata ormai una parte insostituibile
della propria esistenza, tanto che Angela decide di trasferirsi nella città di
lui, dove si sposano innamoratissimi. Lei è laureata a pieni voti ed ha
maturato una cospicua esperienza in alcune aziende del settore informatico, cosicché quando le si presenta l’opportunità di mettere a frutto le proprie
competenze in un’azienda giovane e dinamica, di cui apprezza soprattutto
l’intraprendenza del titolare, suo coetaneo, non esita ad accettare l’incarico
con entusiasmo.
Inizia a svolgere il suo ruolo di project
manager con un forte spirito di abnegazione ed una passione travolgente,
trattenendosi spesso oltre l’orario d’ufficio e facendo molte ore di straordinario,
peraltro non retribuito. Angela è affabile e gentile con i clienti, non si
lamenta mai ed ha una spiccata capacità di negoziazione, così tipica
dell’universo femminile. L’ambiente è cordiale, con i colleghi riesce ad
instaurare un rapporto di immediata simpatia reciproca, tanto che molti
diventano suoi amici da frequentare piacevolmente anche dopo il lavoro. Angela è
finalmente serena, le difficoltà iniziali di ambientarsi in una città diversa
dalla sua appaiono superate, il lavoro le dà gratificazioni, i colleghi la
stimano, il suo matrimonio procede a gonfie vele.
Manca solo un tassello a completare il
mosaico perfetto della sua vita: un bambino. Quando si rende conto di volere
davvero un figlio, e che il marito condivide pienamente il suo desiderio,
inizia ad immaginarne il volto, gli occhi che vorrebbe neri e profondi come
quelli del compagno, le minuscole manine che vorrebbe le accarezzassero il viso
teneramente. Ma il bambino tarda ad arrivare, tanto che Angela inizia a
preoccuparsi e a sottoporsi ad alcuni accertamenti medici che, però, escludono
qualsiasi problema; forse l’eccessivo stress non aiuta, le dice la sua
ginecologa, ma Angela non riuscirebbe mai a svolgere con minore ardore il suo
lavoro, che ama ogni giorno di più.
Finalmente un giorno scopre di essere
incinta: ora la sua felicità è completa. Continua a lavorare senza sosta fino
all’ottavo mese, senza risparmiarsi. Il suo titolare ne apprezza il senso del
dovere e non lesina sugli elogi, soprattutto quando Angela, grazie alla sua
costanza e alla sua determinazione, riesce a chiudere un contratto importante
con un grosso cliente, da tempo corteggiato dalla sua azienda. Tutto procede a
meraviglia, il corredino del bambino, che ha scoperto essere una femminuccia, è
pronto, un trionfo di rosa a cui contribuiscono anche le amate colleghe, ormai
amiche per la pelle.
Poi, poco prima della maternità, la doccia
gelata: l’azienda le chiede di dare le dimissioni. Non può, infatti,
licenziarla, ma le fa capire esplicitamente che non ha più bisogno di lei e a
nulla valgono le sue proteste e i suoi rifiuti, che diventano sempre più
flebili, fino a smorzarsi seppelliti dalla pesante coltre del senso di colpa,
perché le viene insinuato il dubbio che un’eventuale azione legale contro
l’azienda danneggerebbe irrimediabilmente i suoi colleghi che ancora vi
lavorano. Angela è incredula, stenta a credere che tutto quello che aveva
costruito con amore e dedizione fino a quel momento stia per essere spazzato
via; inizia ad accusare un profondo malessere che si traduce in una minaccia di
aborto. Di fronte alle legittime richieste di una spiegazione plausibile trova
il muro impenetrabile di un datore di lavoro diventato improvvisamente ostile.
Per farle capire che sta facendo sul serio la sposta persino in un altro
ufficio, angusto e senza finestre, lontana dalla sua postazione e dalle sue
colleghe. Probabilmente un assaggio di quello che le toccherebbe sopportare se
rifiutasse di licenziarsi. Così Angela, sfinita e amareggiata come mai prima
d’allora, decide di arrendersi.
E’ una calda mattina di luglio quella in
cui, seduta di fronte al suo titolare, che evita accuratamente di guardarla
negli occhi, versa due lacrime sulla lettera in cui comunica “con la presente, le
proprie dimissioni con decorrenza immediata”. Ora Angela si ritrova all’improvviso
senza lavoro, il lavoro che amava profondamente e per il quale aveva dato tutta
se stessa.
Ma Angela non è un caso isolato: altra azienda, altra lavoratrice. Veronica ha un carattere tranquillo e accomodante e
questo piace ai suoi interlocutori ai quali riesce ad infondere serenità. E’
una persona colta e preparata, ama leggere, aggiornarsi. La sua cultura
classica, perfezionata con una laurea in lettere, le consente di svolgere al
meglio i progetti di formazione di cui il reparto aziendale appena inaugurato
si occupa. La sua proverbiale discrezione la rende una confidente preziosa per
molte delle sue colleghe con le quali, durante le pause pranzo, ama condividere
i piccoli problemi della quotidianità.
Veronica ha una bambina che adora e riesce a
conciliare, non senza sacrifici, casa, lavoro, marito e figlia, grazie al suo
inappuntabile senso di responsabilità e ad una madre molto presente. Un giorno
Veronica scopre che sta per dare un fratellino alla sua bambina. Commossa e
felice lo comunica al suo titolare, con il quale ha anche un rapporto di
amicizia; spesso lei e il marito, infatti, sono stati a cena da lui e la
moglie. Hanno persino trascorso le vacanze estive insieme. Il datore di lavoro
accoglie la notizia con apparente gioia e scherza finanche sul fatto che sta
per diventare “zio”. Dopo qualche tempo, però, Veronica inizia ad accusare
alcuni malesseri che la costringono ad assentarsi dal lavoro per qualche giorno.
Quando ritorna lo scenario è cambiato: il titolare non l’accoglie con alcun
sorriso, non le chiede neanche come sta. La chiama nel suo ufficio, la fa
accomodare, la guarda duramente e le porge una lettera: è una lettera di
dimissioni. Lei lo guarda allibita, lavora in quella azienda da cinque anni e
ne é diventata una delle colonne portanti, non può credere a quello che vede.
Lui le dice che l’azienda sta navigando in cattive acque e che preferirebbe che
lei andasse via; naturalmente lui non può licenziarla in “quello stato, dannata
legge di tutela delle donne”, ma lei può rassegnare le dimissioni. Veronica
rifiuta con forza e indignazione, gli urla contro tutto il suo sdegno e va via
sbattendo la porta. L’indomani si presenta al lavoro come sempre e sulla sua
scrivania trova nuovamente la lettera di dimissioni. Dopo pochi minuti la
raggiunge il titolare, le porge una penna e le dice: <<Sei libera di non
firmare, ma io ti farò scontare ogni giorno di malattia, di permessi e di
assenze varie. Ti renderò la vita un inferno, fosse l’ultima cosa che faccio
>>.
Veronica ci pensa per giorni, ne parla con
il marito e con un avvocato, ma alla fine decide che tutta questa tensione fa
male al bambino che porta in grembo e firma la lettera con le lacrime agli
occhi.
Oggi ha un altro lavoro, aspetta il terzo figlio,
ma non ha mai dimenticato questa storia.
Altra città, altra azienda. Questa volta il
settore riguarda l’organizzazione di eventi. Quasi tutte donne, il titolare è
un uomo rozzo e ignorante, arrogante e violento. Luisa è una delle ultime
assunte, il nominativo dell’azienda glielo ha fornito una sua ex collega che ha
avuto modo di conoscere il “signore” in questione in occasione di un convegno,
durante il quale i suoi modi erano ben lontani da quelli che riserva
abitualmente alle sue collaboratrici. Ma Luisa ancora non lo sa. Durante il
colloquio non ha un’ottima impressione e torna a casa con una sgradevole
sensazione appiccicata addosso. Poi, però, si rianima e pensa a quanto sia
difficile trovare un lavoro di questi tempi. Quando, quindi, viene chiamata
dalla segretaria dell’azienda che le comunica il superamento della selezione,
non può trattenersi dal ringraziarla calorosamente, ignorando il sospiro
trattenuto della donna, quasi un tacito segnale di mille cose non dette.
Fin dai primi giorni del suo nuovo lavoro
Luisa impara che il prezzo della sua dignità va ben oltre gli ottocento euro al
mese del suo stipendio, misero bottino, paragonato ai tanti sacrifici fatti per
conseguire l’agognata laurea in Economia Aziendale. Il titolare, infatti, è
solito insultare le sue dipendenti in modo irripetibile ed è suo costume alzare
la voce anche per inezie. Le sue collaboratrici sono donne laureate e
preparate, lui, assolutamente incolto, vive un profondo senso di inferiorità
che trasforma in prepotenza inaudita. Ama creare un clima di terrore, è l’unica
forma di potere che conosce, non avendo qualità né propensioni, ma solo la
fortuna, che non è un merito, di essere molto ricco, abusa continuamente del
suo potere con continui scatti di violenza, prendendo a calci porte, sbattendo
i pugni sulla scrivania, lanciando oggetti, facendo sobbalzare le sue
dipendenti ogni giorno. Alla sua prepotenza fa da contraltare un profondo
atteggiamento servile nei confronti dei “potenti”: assessori ed esponenti delle
istituzioni che gli procurano lavoro. Il suo abuso di potere si estende anche
alle molestie: abbracci fintamente innocenti e soprattutto non desiderati, dati
sempre con malcelata noncuranza. Per non parlare delle continue allusioni e
degli incessanti doppi sensi, delle battute volgari che è solito fare
soprattutto quando fa branco con i pochi uomini dell’azienda.
Una mattina Luisa, varcando la soglia del
cancello condominiale, ha la triste sorpresa di appurare che la sua auto non
c’è più. Sparita nel nulla, l’auto che stava ancora pagando a rate sembra
essersi volatilizzata. Corre dai carabinieri per sporgere denuncia, correndo
trafelata avvisa l’ufficio dell’accaduto. Quando arriva al lavoro, angustiata e
abbattuta, il suo titolare l’aggredisce urlandole contro che non è disposto a
tollerare un altro ritardo per nessun motivo; quando lei cerca di spiegargli
l’accaduto lui tuona che sono cose che non lo riguardano e che, qualora
dovessero ripetersi, la butterà fuori a calci.
Angela, Veronica, Luisa: tre donne diverse,
con lavori differenti così come differenti sono i loro modi di agire, di
sentire, di amare, di soffrire. Ma tutte accomunate dagli stessi,
ingiustificabili soprusi.
Verrebbe da dire: perché non reagiscono?
Perché non denunciano? Ma è facile giudicare. Sono donne che hanno bisogno
assoluto di lavorare, ribellarsi non è facile; alcune sono donne sole con figli
da mantenere, altre cercano di reagire, rispondono agli insulti, alzano la voce
di rimando, ma la loro vita è diventata un inferno e il lavoro un campo di
battaglia. La verità è che questi esempi non sono episodi estremi, sono
all’ordine del giorno in moltissime aziende e a farne le spese sono donne in
gamba, autonome, indipendenti, non sprovvedute, come si potrebbe pensare a
prima vista.
Potrei raccontarvi decine di storie come
queste, storie di brillanti professioniste che in fase di colloquio si vedono
proporre uno stipendio inferiore rispetto a quello degli amici uomini con lo
stesso titolo di studio e le medesime esperienze lavorative (maturate persino
nella stessa azienda), potrei raccontarvi di donne incinte costrette a lavorare
in ambienti dove si fuma ininterrottamente, potrei raccontarvi ...
Non commettete l’errore di pensare: a me
no, a me non può capitare. Non è così. Il mondo del lavoro in molti casi lascia
spazio ad individui arroganti e violenti, incapaci di confronti dialettici, ma
assolutamente avvezzi alla violenza e all’uso intimidatorio di un potere che il
ruolo ricoperto non giustifica in alcun modo. La violenza contro le donne ha
molte facce, quella sul luogo di lavoro è una delle più tristi e parla di
storie dove l’orco non è relegato alle fiabe per bambini e dove il lieto fine
spesso non esiste. Storie vere. Storie che accadono qui e ora.
(Articolo pubblicato sulla rivista Confidenze).
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