Ebbene sì, lo ammetto: io adoro I promessi Sposi.
Proprio quel mattone che si è
costretti a studiare di malavoglia a scuola, in
un susseguirsi di noiose descrizioni, addii ai monti imparati a memoria, panni
sciacquati in Arno e un autore, il Manzoni, che non sembra brillare per
simpatia.
Eppure …
Eppure se I promessi Sposi sono
da secoli considerati un capolavoro, un motivo deve pur esserci.
In realtà i motivi sono
tantissimi: chiudete gli occhi e provate per un attimo a dimenticare il noioso romanzo studiato da ragazzi. Cercate di immaginare un secolo, il Seicento, come un turbinio di colori, sfarzi,
ampollosità, ricchi prepotenti, uomini scellerati e violenti a cui fa da contraltare una
massa di poveri senza diritti, in balia dei “signori”.
Ecco presentarsi, quasi a fare da
cerniera, personaggi comici e
rocamboleschi come Don Abbondio, curato di campagna per il quale il quieto
vivere è la cosa più importante: provate a immaginare cosa deve aver sentito quando, in
fondo alla stradina che percorre per tornare a casa, individua due loschi figuri che, vedendolo, si danno di
gomito e si avvicinano.
E da allora gli eventi si
rincorrono vorticosamente, con falliti
matrimoni e rapimenti, fughe, minacce, colpi di scena, separazioni,
soprusi, vendette, terribili epidemie …
Trovo drammaticamente indimenticabile
la scena di Fra Cristoforo, umile frate, che osa recarsi nel castello di Don
Rodrigo a minacciarlo, puntandogli un dito in faccia e provocando il terrore,
immediatamente smorzato nell’arroganza, del nobile prepotente che, pur di non
dar voce alla sua paura, gli afferra la mano e lo caccia via.
Io adoro i Promessi Sposi perché lo trovo un romanzo ironico e a tratti
comicissimo. D’altronde come non ridere con il Manzoni per la pettegola
Perpetua che nessuno ha voluto, ma che continua a dire di aver rifiutato tutti
i pretendenti? E che dire del rocambolesco, fallito tentativo di matrimonio a sorpresa, quando gli oppressi sembrano
oppressori, con quella indimenticabile frecciata finale del Manzoni: “Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto
di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza
di un oppressore;eppure, alla fin dei fatti era l’oppresso. Don Abbondio,
sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente ai fatti
suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso.
Così va spesso il mondo…voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo”.
Non è risparmiata dall’ironia
neppure la folla, ad esempio quando assalta i forni distruggendoli, inducendo
Renzo a chiedersi in quale modo pensi di poter ottenere il pane, avendo ora
distrutto i forni: nei pozzi?
E adoro
la scena dei due capponi, sballottati per tutto il tragitto che compie Renzo
per andare dall’avvocato Azzeccagarbugli (non me ne vogliano gli avvocati, però
che fantastico soprannome!), fino a quando il giovane torna a casa di Lucia e Manzoni ci dà un ultimo ragguaglio sulla situazione
dei due volatili: “entrando con un volto dispettoso insieme e mortificato,
gettò i capponi sur una tavola; e fu questa l’ultima triste vicenda delle
povere bestie, per quel giorno”.
Sullo sfondo, pagine così violente che si fa fatica a leggerle e che oggi
troverebbero felicemente posto in un film dell’orrore: la peste, i cadaveri
deformati che infestano le strade, gli untori, i monatti con i campanelli, la
disperazione della gente, l’ indimenticabile lirismo della scena della madre di
Cecilia…
E Lucia, questa figura femminile
che ci viene sempre tramandata come delicata e fragile, quasi ornamentale, e
che, invece, ha una forza interiore incrollabile, capace di far convertire
persino un uomo di violenza inusitata come l’Innominato, uno dei personaggi più affascinanti e suggestivi della letteratura di tutti i tempi. Meraviglioso il
dialogo tra i due, con lei inginocchiata ai
suoi piedi e lui tormentato da un rimorso a cui ancora non sa dare un
nome, “quel demonio nascosto nel suo
cuore”…
Che dire, inoltre, dell’agghiacciante
racconto della Monaca di Monza e di quel terribile padre, che oggi non si
farebbe fatica a definire un mostro?
Trovo che rileggere i Promessi
Sposi a distanza di tempo, lontani dai banchi di scuola, sia come vedere il
davanti di un arazzo di cui negli anni precedenti si è tessuto il retro e ammirarne
finalmente lo spettacolare disegno.
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