C’è un velo di struggente tristezza
nelle pagine del Don Chisciotte di Cervantes: il folle cavaliere di un piccolo
paese della Mancia che, dopo aver letto decine di libri che hanno per
protagonisti prodi cavalieri, decide di imitarne le gesta. Perciò si procura l’armatura dei suoi avi, ribattezza
il suo magro cavallo Ronzinante, si attribuisce il titolo di Don Chisciotte della Mancia ed elegge come sua
nobile dama una contadina del luogo, alla quale cambia il nome in Dulcinea del
Toboso: a lei l’improbabile cavaliere dedicherà tutte le imprese, nelle quali
sarà seguito da un povero contadino, Sancho Panza, persuaso a fargli da
scudiero. Le sue mirabolanti avventure lo vedono combattere contro i mulini a
vento, scambiati per orribili giganti, vedere fastosi castelli in squallide
osterie, eserciti di soldati in miti greggi di pecore. Perseguitato dalla
storia, deriso da tutti, Don Chisciotte ha una follia punteggiata da momenti di lucidità estrema.
Ma proprio quando sembra rinsavire eccolo tornare a trasfigurare la realtà
attraverso una fantasia foraggiata da anni di letture avventurose. Intorno a
lui un variegato universo di personaggi ai quali la maestosa penna di Cervantes
assegna un registro linguistico diverso: una polifonia di voci indimenticabili,
che tratteggiano con un realismo spesso spietato la Spagna dell’epoca, in un
acquerello indimenticabile di colori.
Indomito idealista, eroe romantico, folle
buffone, Don Chisciotte ci consegna un personaggio
che
incarna le debolezze, le contraddizioni,
gli impeti e gli errori della maggior parte
degli uomini, oggi
più che mai attuale e per questo immortale.
Resta da chiedersi: quali sono i mulini a vento di oggi? E c'è ancora voglia di combattere per quello che si ritiene vero?
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