mercoledì 19 febbraio 2014

Mi racconti una storia?





L’uomo è un essere sociale, il bisogno di stare con gli altri e di costruire relazioni è innato. E le relazioni si costruiscono attraverso la comunicazione ed il linguaggio.

Questo bisogno si tramuta sovente in un desiderio di affabulazione che nasce da bambini, quando non ci si stanca mai di ascoltare le favole.

Negli anni ’60 era Carosello che raccontava agli Italiani storie che oggi fanno sorridere per la loro ingenuità e che, tuttavia, contenevano invidiabili elementi creativi.

Negli anni ’80 gli spot televisivi hanno dominato il panorama dell’advertising e alcuni di loro sono rimasti impressi nella memoria collettiva, diventando veri tormentoni.

In particolare gli spot della Barilla sui “ritorni a casa” offrono un’interessante chiave di lettura, riproponendo uno schema classico, mirabilmente approfondito da Vladimir Propp nel suo Morfologia della Fiaba.

Ricorderete senz’altro lo spot della bambina in impermeabile giallo che raccoglie dalla strada un gattino, portandolo a casa.
L’eroe/protagonista è posto di fronte ad una difficoltà/ostacolo, che, grazie al suo impegno e alla sua tenacia, riesce a superare per approdare all’atteso lieto fine.

E’ l’eterno trionfo del bene sul male, meccanismo ripreso anche da numerose fiction televisive.

E con i social network cosa è cambiato?
Moltissimo nella fruizione dell’informazione, nella possibilità di interagire, nell’opportunità di essere tutti editori di se stessi, ma c’è una cosa che resta immutata: il desiderio di leggere ed ascoltare storie.
Non a caso le aziende che hanno meglio sfruttato le potenzialità dei new media sono quelle che hanno saputo costruire meccanismi narrativi.

Persino nella comunicazione politica (Obama docet) le foto e i video di vita familiare, che raccontano momenti del quotidiano, hanno avuto un maggiore impatto sul pubblico.

Un pubblico più critico e maturo, più consapevole e smaliziato ma che, spesso, non può fare a meno di chiedere: mi racconti una storia?












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